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INDIA IS A STATE OF MIND

L'India non è solo uno stato geografico, ma anche un'esperienza, vissuta o immaginata, che affascina o disturba. Raccontata nel tempo come la mecca della spiriualità o come l'esempio più becero della disugaglianza sociale e di genere, l'India sopravvive sorniona alle sue stesse contraddizioni. E se decidi di andare a conoscerla, ti colpisce subito allo stomaco, senza tante presentazioni. Ti ipnotizza come un incantatore di serpenti, avvolgendoti con odori, suoni, colori e sensazioni che ti centrifugano per benino. 

 

La prima volta che ho avuto a che fare con l'India era il 1993 ed ero un'adolescente che viveva h24 con il suo branco di amici. Essere trascinata dall'altra parte del mondo e non poterli vedere né sentire (internet era allo stato fetale), mi procurava un drammatico senso di frustrazione. In realtà il mio aereo sarebbe atterrato a Sri Lanka, ma per me erano comunque i confini esotici del mio mondo. 

 

Malgrado le mie resistenze, avevo infatti un diario in cui ogni sera aggiornavo il countdown per il rientro in Italia, mangiavo solo biscotti per evitare spezie e aragoste (!), mi bruciavo ad ogni esposizione solare, mi arrotolavo la notte nella zanzariera per evitare ragni e scorpioni, sfuggivo alle mani curiose delle donne che volevano toccarmi i capelli biondi, odiavo profondamente le scimmie dispettose, mi addoloravo davanti alla povertà e a volte alla malformità delle persone, mi inquietavo per i templi induisti con colorate divinità grottesche, malgrado tutto ciò, quel viaggio mi è rimasto nelle vene. Per quanto cercassi di allontanarmi, di estraniarmi dall'ambiente, tutti i miei sensi erano rapiti e centrifugati. Non c'era la possibilità di rimanere in superficie, mai, tutto era sempre denso e profondo. E mi mancava l'aria. 

 

Eppure i baobab che ti proteggono come enormi  e vecchi ombrelloni, le tartarughe appena nate da affidare le onde, gli sguardi penetranti degli anziani, i sari morbidi dai colori arcobaleno, la frutta gustosa, le foreste lussureggianti, le spiagge bianche e infinite, ma soprattutto i Buddha, immensi e placidi, mi strizzavano l'occhio con lungimiranza.

 

Dopo molti anni di Yoga e di Ayurveda, sono andata a Delhi per sottopormi alle tecniche di purificazione del Panchakarma. Non vedevo l'ora di ricevere nuovamente quel pugno nello stomaco e vedere se stavolta ero pronta a riceverlo. E così è stato. Il traffico delirante, le mucche in mezzo alla strada, i clacson suonati in continuazione ma col sorriso, le pubblicità kitch di Bollywood, l'odore penetrante di aglio e spezie, il caotico miscuglio di sporco e pulito, terreno e spirituale, erano una giostra meravigliosa e rigenerante per i miei sensi. Ma sotto tutto questo, nella stanza dell'ospedale dove ricevevo le cure, solo silenzio, fuori di me e dentro di me. L'olio di sesamo che ti avvolge come un bozzolo e ti penetra nelle viscere, i basti (clisteri) che trascinano  via il superfluo, il cibo scarno che toglie ogni compensazione, le recitazioni dei Pandit che scandiscono il tempo e lo fanno vibrare. La mente e la pancia vuote, il rilascio completo di ogni resistenza, l'abbandono al fluire naturale delle cose. 

 

Questa è la mia India, che mi restituisce un'immagine di me che cambia e forse evolve, e che racconta per immagini il mio viaggio di vita.

 

Om Shanti,

Sarah



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